La Tavola Celeste ovvero lo spazio che offrì bivacco al tempo
La Tavola Celeste è un’installazione interattiva che trae la sua ispirazione dalla lettura del testo di Francesco Niccolini “Il Grande Orologiaio” e racconta un viaggio poetico nell’Astronomia attraverso un lungo tavolo costellato di oggetti provenienti dal mondo della cucina. Sentimentalmente legata alle scatole di Joseph Cornell e ai tableaux di Daniel Spoerri, l’installazione reinterpreta quattrocento anni di studio del cielo, del tempo, della navigazione attraverso i tentativi e gli errori, gli uomini e le scoperte che dal 1300 al 1700 hanno segnato la nostra visione del mondo. La Tavola Celeste rappresenta il piano di lavoro di un grande cuoco che, con un’armoniosa danza di strumenti ed utensili, cucina il tempo, apparecchia gli anni, ricerca ed inventa portate da offrire al sapere popolare, in una dimensione in cui il “sapere” è anche un “aver gusto”, stuzzicando la disponibilità a mettersi in gioco invece di alimentare il distacco dell’osservazione. E’ un luogo in cui il tempo trova bivacco, come un viandante che decide di riposare sotto le stelle; è uno strumento per convincere il tempo a fermarsi e dialogare con tutti per il tramite di oggetti familiari. La Tavola Celeste è stata ideata e realizzata dall’Associazione Culturale La luna al guinzagli nella sua officina creativa Il Salone dei Rifiutati ed è co-prodotta dalla Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici della Basilicata.
La mostra interattiva La Tavola Celeste è stata inaugurata il 9 MARZO 2016, alle ore 12:00 presso l’Università degli Studi di Basilicata, Campus di Macchia Romana, Dipartimento di Ingegneria, 5°piano. L’Unibas ospiterà la mostra, fino al 25 marzo, come format innovativo di orientamento rivolto ai ragazzi degli Istituti di Istruzione Secondaria. Pertanto è stata prevista per l’occasione, accanto al percorso originale, una nuova declinazione della Tavola negli ambiti delle Scienze Naturali, delle Scienze Umanistiche, dell’Ingegneria e della Matematica ad opera di esperti nei vari ambiti di studio.
Alessandra Miraglia, biotecnologa potentina, esperta in formule cosmetiche, piante officinali, divulgatrice scientifica ed ex studentessa dell’ Unibas, ha trasformato la Tavola Celeste nel Laboratorio dello Speziale e, a partire dagli oggetti sulla tavola, ha iniziato così il suo racconto agli studenti del Dipartimento di Scienze e della Scuola di Scienze Agrarie, Forestali, Alimentari e Ambientali…
“Nell’Alto Medioevo la preparazione dei medicamenti era riservata ai monaci, che negli orti dei conventi coltivavano i “semplici” (erbe e aromi). Il diffondersi del commercio delle spezie, merci di grande valore economico, conferì prestigio a coloro che le vendevano o le manipolavano. Nacque cosi la professione dello speziale, In Italia una prima distinzione fra speziale e medico si deve a Federico II (1235 ca.), che operò una sorta di “riforma sanitaria“, in base alla quale, lo speziale era chi manipolava erbe e spezie per fabbricare un medicamento, mentre colui che faceva la diagnosi e prescriveva il rimedio era il medico. Prima della riforma infatti anche i medici manipolavano erbe e spezie per prepararne medicamenti. Lo speziale, quindi, nel medioevo era colui che si occupava della preparazione delle medicine, solitamente aveva una bottega, definita spezieria o aromatario, all’interno della quale effettuava anche attività di vendita delle spezie e delle erbe medicinali. Nella bottega dello speziale si trovavano inoltre i profumi ed essenze, i colori usati in pittura e dai tintori, la cera e le candele, la carta e l’inchiostro e spesso anche dolci speziati preparati dallo speziale stesso. L’attività dello speziale era, in epoca medievale, una delle più redditizie, fu definita Arte Maggiore, per il numero di iscritti e per il controllo che aveva sui mestieri minori: pittori, colorai, erboristi, droghieri; richiedeva inoltre un capitale consistente a causa del costoso mercato delle spezie che si estendeva da Costantinopoli a Genova attraverso tutto il mediterraneo.
Nel Rinascimento la spezieria si ampliò e divenne un luogo accogliente dove ricevere il cliente-paziente, negli scaffali in bell’ordine comparivano: bicchieri d’argento e di cristallo per dispensare le acque, le ratafie, l’acquavite aromatizzata e ancora vasi, orci, alberelli finemente decorati. Ma nella bottega dello speziale continuava ancora ad aleggiare fascino e suggestione attraverso i simboli del mistero imbalsamati o immersi in un liquido conservativo come serpenti o vipere per ricordare che lo speziale sa dominare il veleno. Nell’ampio laboratorio oltre agli strumenti di sempre, erano presenti anche più distillatori e i primi mortai di porcellana, nuovi solventi come l’acido acetico, l’acido nitrico, il salgemma, l’allume, il rame, lo zolfo , il mercurio, l’antimonio. Nella spezieria vi era anche uno stanzino riservato in cui si praticava il “ serviziale” (clistere) ai clienti abituali che volevano liberare l’intestino dagli “umori peccanti”; ma si preparavano anche dolci, confetti, panpepati utilizzando come dolcificante miele, mosto o pasta di fichi. Allo speziale in quanto “commerciante colto” di droghe gradite nelle vivande e nei dolci, veniva commissionato di allestire pranzi di rappresentanza o di nozze , che sapeva rallegrare con l’Ippograsso o con alcolati ottenuti dall’acquavite (che oggi definiamo “amari digestivi”). Di seguito la ricetta di questo vino aromatizzato sul quale così si espresse anche Machiavelli “Un bicchiere di Ippograsso che è a proposito a raccorciar lo stomaco e rallegra el cervello”.
Antica formula dell’Ippograsso
1 litro di vino rosso corposo e di buona gradazione
100g di miele o zucchero ad libitum
3 bastoncini di cannella spezzati
10g di zenzero fresco
5g di cardamomo 3-4 chiodi di garofano
Un pizzico di noce moscata, scorze di agrumi a piacere
La spezieria divenne inoltre il luogo preferito in cui le persone colte della città si riunivano assiduamente per passare in rassegna le questioni più importanti del momento, da quelle scientifiche a quelle politiche ed artistiche. Nel 1583 la celebre Accademia della Crusca vide la luce nella Farmacia Lasca in Firenze. Anche Leonardo Da Vinci era solito frequentare le spezierie dove, dalla conversazione con medici e farmacisti, trasse materia di riflessione per i suoi bellissimi studi di anatomia(questo suo interesse per le questioni di medicina e farmacia ci è attestato da alcune ricette e da una filastrocca in versi scoperta nel Codice Atlantico in cui Leonardo con molta arguzia consiglia, fra l’altro, di stare lontano dalle medicine indicando linee di prevenzione sanitaria).
In questi anni vi fu anche un fiorire di Antidotari e Riceptari redatti da Medici e Speziali. Nel 1480 si introdussero a Venezia gli esami per l’esercizio dell’arte farmaceutica presso Scuole degli speziali. Nel 1496 fu istituito il Ricettario Fiorentino , la prima Farmacopea della storia, compilato dal Collegio Medico della città di Firenze:ogni speziale aveva l’obbligo di preparare i medicamenti a base di erbe con gli ingredienti, le quantità e i metodi di conservazione indicate nel Ricettario e in caso contrario era sottoposto a pesanti sanzioni. Il Ricettario, indicando la qualità delle spezie da utilizzare nei medicamenti influenzò la loro l’importazione ed il loro commercio. Le spezie che giungevano a Firenze attraverso i porti di Pisa e di Livorno venivano poi distribuite in tutta Italia. Venezia, grazie al commercio delle merci asiatiche che giungevano in Italia dopo aver sostato nelle maggiori isole del Mediterraneo, acquisì un ruolo politico di primo piano e raggiunse l’egemonia sul mare Egeo. La scoperta del continente americano cambiò il corso della storia ed introdusse nuove spezie che ebbero grande ricaduta sulle abitudini alimentari e curative dell’uomo occidentale. La tradizionale farmacopea, un misto di nozioni greco-romane ed arabe, venne completamente stravolta. Infatti, con la scoperta dell’America, oltre all’oro giunsero in Europa spezie e medicamenti mai visti prima come, ad esempio, la china, il curaro, il tabacco, il cacao, la vaniglia, il guaranà, la coca, l’amamelide, la ratania, la thuia. L’impiego di queste sostanze vegetali incontrò un iniziale diffidenza dei medici, nonostante i mercanti, i soldati ed i marinai ne decantassero le virtù terapeutiche, e solo in seguito gli stessi medici inviati in spedizioni oltreoceano, familiarizzarono con la medicina degli Indios e acquisirono nuove conoscenze utili a curare malattie serie, come la malaria.
Anche la cosmesi, divenuta ormai in Italia e in Francia, un costume imprescindibile, era appannaggio dello speziale, che preparava creme e oli profumati a base essenze di ambra, zibetto, muschio, violetta, noce moscata , fiori d’arancio e chiodi di garofano; dispensava polvere di corallo rosso per colorare le guance e antimonio per decorare ed esaltare gli occhi (potremmo definirlo l’eyeliner dell’epoca). Molto apprezzata era l’Acqua Mirabilis di Giampaolo Feminis, tra i primi profumi realizzati in soluzione idroalcolica a base di essenze agrumose, lavanda e rosmarino che lui stesso descriverà come “…un mattino italiano di primavera dopo la pioggia”.
Nel corso del 1630 il flagello nero della peste si abbatté sugli speziali del Nord Italia in particolare. L’epidemia, rapidamente diffusasi per contagio anche a causa delle numerose funzioni propiziatorie in luoghi di culto o pubblici affollati di gente, vuotò di ogni merce le “botteghe”. Emblematica per la sua storia è la formula dell’ ”Aceto dei quattro ladri”, preparato da abili speziali ed utilizzato da gruppi di ladri per immunizzarsi dalla peste e depredare così le case degli ammalati e dei moribondi.
“Si prendano tre pinte di aceto di vino bianco forte, si aggiunga una manciata di assenzio, una di olmaria, una cinquantina di chiodi di garofano, due once di radici di campanula due once di angelica, rosmarino e marrubio e tre grandi misure di canfora. Mettere il composto in un contenitore per quindici giorni, filtrare e mettere poi in bottiglia. Sfregare su mani, orecchie e tempie di volta in volta quando si avvicina un appestato.”
In breve tempo si dovette constatare l’impossibilità di rifornimenti di medicamenti nonché la scomparsa di molti speziali aggrediti dal male cui erano particolarmente esposti. Alla fine di quel terribile anno gli speziali erano in molti luoghi quasi estinti, taluni erano sull’orlo del fallimento avendo fornito a credito i lazzaretti. Nel corso di questo secolo, inoltre, crebbe il numero di aggregazioni professionali; in diversi casi cominciarono ad essere imposti alla categoria degli speziali Statuti in base ai quali si dovevano accettare le ispezioni del Collegio dei Medici, perdendo XX secolo così parte dell’autonomia. Nel 1650, inoltre, comparve la prima regolare Tassa dei Medicinali. Nel 1670, venne stampata una nuova edizione del Ricettario Fiorentino, dedicata al Granduca Cosimo III, di nuova concezione, molto più ordinata, corretta e semplice. Vi erano descritti nuovi medicamenti di origine americana (macioacan o rabarbaro bianco, scarappa o giarappo, sassafras), ma anche alcune particolari ricette di rimedi come gli Oli del Granduca, la Polvere antiepilettica della Granduchessa; erano descritti, inoltre, il modo di stillare l’acqua (con la relativa figura del fornello e del suo refrigerante) e il fornello a bagno maria o stufa umida…”